Prefazione

Franco Ionta
Capo dell’Amministrazione Penitenziaria

Il rapporto con i libri è unico e irripetibile. Leggere è come vivere tante vite. E’ riconoscersi nella forza della parola per uscire dalla propria pelle e indossare quella dei personaggi che appassionano, pagina dopo pagina, identificandosi con le loro emozioni. E quando si giunge alla fine si vorrebbe tornare indietro e ripercorrere la trama delle esistenze incontrate nella solitudine della lettura.

In carcere si legge molto. E si scrive moltissimo. Lo si fa molto più di quanto si immagini. Il perché è lampante ed è racchiuso in una parola che può suonare estranea se abbinata a quel contesto: libertà. Libertà di decidere che cosa leggere e che cosa scrivere. Che vuol dire libertà di librarsi con la mente e di superare le barriere che separano da quel mondo esterno che per un periodo più o meno lungo non è concesso.
In carcere il tempo si dilata e stabilisce l’andamento della giornata secondo un ritmo che appartiene all’organizzazione. E’ un tempo oggettivo che si appropria del tempo vissuto, è tempo sottratto alla libertà. Troppo spesso trascorso nell’inedia, “consumato” nel nulla, nell’assenza di movimento. Anche mentale. C’è movimento quando c’è trasformazione, quando insorge quella spinta interiore che induce a cambiare, a scegliere di essere altro da quello che si è stati, a sfidare i propri limiti, a riprendere la marcia, a rialzarsi dopo essere caduti. E la scrittura è un mezzo. Si scrive per ricordare, per immaginare, per sconfinare.

Dentro il carcere, lo scrivere avviene perché “suggerito” dai corsi di scrittura creativa, ma anche per moto spontaneo, tant’è che il binomio carcere e letteratura ha creato un genere. Detenuti scrittori e scrittori detenuti hanno prodotto pagine di grande interesse, a volte irripetibili. Goliarda Sapienza, la scrittrice siciliana cui è stato intitolato il premio letterario Racconti dal carcere, ne è stata un fulgido esempio.

I detenuti che hanno voluto parteciparvi, lo hanno fatto calandosi nuovamente, a volte a prezzo di nuova sofferenza, nella propria storia. Alcuni l’hanno raccontata fin nei minimi dettagli, altri ne hanno esposto i frammenti. C’è chi, quella storia l’ha reinterpretata, come farebbe un esperto romanziere. Ma questo è irrilevante. Non è la certificazione di autenticità che stabilisce la qualità di ciò che è stato scritto.
Ognuno, quando si racconta, sottrae verità e ne aggiunge altre, ma in tal modo esercita la conoscenza di sé, avviando un percorso sempre più intimo e profondo dentro se stesso.

I concorsi letterari promossi nelle carceri sono numerosi, la novità del premio Goliarda Sapienza sta nell’avere coinvolto autori di primo piano nel panorama culturale e di averli invitati a svolgere il ruolo di tutor di uomini e donne che nelle nostre carceri scontano una pena. Dal progetto di Antonella Ferrera, che ho immediatamente accolto e personalmente sostenuto, è nato questo libro, un esempio concreto dell’incontro tra mondi solo apparentemente distanti.

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