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Racconti dal carcere

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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29 settembre. Roma-Salerno
di Cosimo Rega

Il sabato era un giorno speciale, era giorno di colloquio. Avevamo un’ora tutta per noi. Un’ora con mia moglie per cancellare le altre trecentotrentacinque. Un’ora sola per scrollarci di dosso le tensioni e le frustrazioni accumulate durante la settimana. Un’ora per vivere il nostro amore. Un amore vero, tenace, da vivere in un luogo dove l’amore è proibito.
Anche quel sabato ingannai l’attesa concentrandomi sui soliti rituali: doccia, barba, pantalone e camicia pulita, scarpe lucide e un’abbondante spruzzata di Tesori d’Oriente, l’unico profumo consentito che, per un attimo, mi illudeva di essermi tolto di dosso l’odore del carcere.
Quando notai l’espressione tesa sul volto di Gelsomina capii che quel giorno non avremmo pronunciato parole d’amore. «I carabinieri di Salerno hanno telefonato a casa di nostro figlio»
(…)
Il poliziotto che mi attendeva era una donna. Seduta davanti al computer, sfogliava le carte di un fascicolo. Cercai di capirne la consistenza: era di parecchie pagine. Non un buon segno.
«Lei si chiama?» mi chiese senza guardarmi.
Risposi rapidamente a tutte le domande di routine, volevo che arrivasse subito al dunque.
«Scusi, potrei sapere di che si tratta?» le chiesi con gentilezza.
«Le devo comunicare una chiusura d’indagini.»
«Quali indagini?».
La donna sfogliò le carte, poi lanciandomi uno sguardo sfuggente, annunciò: «Omicidio».
«Omicidio?» risposi con tono preoccupato.
«Dopo si leggerà le carte. Firmi qui!»
INDAGATO
in ordine ai seguenti reati ipotizzati: in concorso con Forte Antonio, e Forte Gennaro (nei confronti si è proceduto separatamente) nonché con Visciano Angelo, e Manzi Michele Arcangelo (nel frattempo entrambi deceduti):
a) per il delitto previsto e punito dagli artt. 110. 575-577, 3 e 61, 2 c.p. Perché agendo con premeditazione in concorso tra loro e con altre persone allo stato non ancora identificate, Forte Antonio e Forte Gennaro quali rappresentanti in zona dell’associazione camorrista denominata “Nuova Famiglia” unitamente al Visciano in qualità di mandanti, il Rega e il Manzi quali esecutori materiali, cagionavano la morte di Aconcia Vincenzo esplodendo contro il predetto un colpo di pistola cal. 45 che lo attingeva al capo.
Delitto commesso in Salerno il 13 giugno 1990.
L’alibi. Fu la questione dell’alibi il primo pensiero che occupò la mia mente.
(…)
Lo seguii lungo il corridoio con le poche cose che mi ero portato da Rebibbia. Si fermò davanti alla cella numero tre del piano terra.
Ero preparato al peggio, e invece mi trovai di fronte a tre ragazzi giovani, tutti di Napoli. Subito dopo, però, quando chiesi di andare al bagno, avvertii un forte disagio. Non per i ragazzi che si mostrarono subito gentili e disponibili, ma per me: dopo dieci anni di cella singola non ero più capace di condividere “certi” momenti con gli altri detenuti.
Quella notte non riuscii a prendere sonno e al mattino mi sentivo intontito e nervoso. Per fortuna era giorno di docce per la sezione perché a Salerno ci si lavava un giorno sì e uno no.
All’aria trovai una trentina di persone racchiuse in un rettangolo di pochi metri. Ci si pestava i piedi l’uno con l’altro. Mi sedetti su una panchina cercando di non intralciare la corsa. Qualcuno mi riconobbe e si avvicinò a salutarmi.

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