VOLETE SAPERE CHI SONO IO?
Racconti dal carcere

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Aurora
di Aurora Spanò

Signor giudice, volete sapere chi sono io? Ebbene, ascoltatemi.
(…)
Chi fosse mio marito cominciai a scoprirlo con il tempo, e a condividere con lui gioie e dolori. Il mio uomo e la sua famiglia, undici fratelli, erano importanti e rispettati in paese e in tutta la provincia, se non in tutta la Calabria. Le persone si rivolgevano a loro per avere quella giustizia che spesso la legge non riusciva a garantire, per questo motivo nei rapporti delle forze dell’ordine apparivano come dei fuorilegge e perseguiti e accusati di tutto ciò che accadeva in paese, anche quando non c’entravano nulla. A causa di queste dicerie, mio marito fu ricercato attivamente da tutte le forze di polizia e costretto alla latitanza. Fummo obbligati a incontrarci di nascosto…
(…)
Partii con la macchina e stavo per uscire dal paese, quando un’auto che mi stava seguendo mi si avvicinò e suonando il clacson mi invitò a fermarmi. C’erano due uomini, uno scese, si avvicinò al finestrino, riconobbi l’uomo che mi aveva portato il messaggio, «mi dispiace, signora, dobbiamo rimandare l’incontro, quel posto non è più sicuro, dobbiamo cambiarlo, le faremo sapere al più presto, speriamo, per il nuovo appuntamento». Ringraziai, quasi senza voce, e quando i due si furono allontanati, scoppiai in un pianto dirotto che durò per molti minuti e che interruppi soltanto per il timore che qualcuno potesse vedermi. Ci tenevo a mostrarmi una donna forte e coraggiosa, in fondo ero la donna del capo…
(…)
Una notte, prima dell’alba, sentii bussare alla finestra del salone al piano terra. Era un bussare leggero, come a non voler disturbare troppo, ero già quasi sveglia e mi svegliai del tutto, alzandomi allarmata; neanche i cani avevano abbaiato, com’era possibile? Presi il fucile che tenevo sempre carico nell’armadio, tolsi la sicura e scesi al piano di sotto con cautela, per non svegliare i bambini che dormivano tranquilli nelle loro stanze. Il bussare, ritmico, continuava, uscii dal retro e feci il giro della casa per sorprendere alle spalle la persona che stava battendo sui vetri della finestra. Appena girai l’angolo, imbracciando il fucile puntato verso una sagoma oscura piegata contro la finestra, non lo riconobbi dall’aspetto, ma riconobbi subito la voce che mi chiamava: «Aurora, sono io».
(…)
Ricorda, signor giudice, cosa accadde a quella donna tanti anni fa? Era una ragazza sveglia che sapeva farsi rispettare da tutti, uomini e donne che fossero, perché sapeva parlare e farsi capire, eppure fu causa di una strage della quale ancora si parla, tale fu l’efferatezza e la modalità d’esecuzione. La ragazza, signor giudice, apparteneva a una famiglia rispettata nel paese, e mai avrebbe dovuto comportarsi come ha fatto.
(…)
La prima coltellata gli spaccò il cuore, cadde gettando un urlo che svegliò il piccolo.(…) la donna, al piano di sopra, svegliata dal trambusto, si rese conto di ciò che stava accadendo e impugnò il fucile appeso alla parete, che teneva sempre carico; mentre gli assassini salivano le scale, lo puntò contro di loro e premette il grilletto ma qualcuno doveva averlo scaricato togliendo le cartucce, quindi anche lei venne colpita a morte. (…) Dopo avere compiuto il macabro rituale per connotare l’assassinio, tagliando un seno alla donna già morta, si avviarono verso l’uscita, lasciando un silenzio di morte alle loro spalle.
Lo strazio per quella strage fu immane, ma non era ancora finita.
(…)
Capisce ora, signor giudice, qual era l’ambiente nel quale sono vissuta? E come potevo, io, sottrarmi a queste regole?

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