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Racconti dal carcere

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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La fortuna di perdere
di Federico Abati

1° Classificato Premio letterario Goliarda Sapienza “Racconti dal carcere”
per la più intensa riflessione interiore

Papà, ho tanto sbagliato
con forza rabbia e ostinazione
ho cercato ogni tentazione;
cosa farò del mio passato?
(…)


Le serate di casa Conti erano i tornei di bridge. Mamma giocava bene, mio padre era un fenomeno: era capace di calare una scartina come se fosse una pepita d’oro e tutti si aspettavano il miracolo, anche quando era impossibile. Chi faceva coppia con lui gioiva e tremava allo stesso tempo, papà non digeriva gli errori degli avversari perché erano un insulto alla strategia del gioco; quelli del suo compagno di turno poi, alla fine della partita, glieli spiegava, con un tono di voce così calmo e dottorale da tagliare l’armonia anche dei tavoli adiacenti. Con il suo ventaglio di tredici carte colorate, la fluidità delle battute, la perfetta esecuzione del gioco, era affascinante; io avevo otto anni e di bridge non ne capivo niente, ma rimanevo ore e ore a guardarlo, a studiarlo, ipnotizzato: ma quando diventerò come te, quando?
I saloni dell’hotel che ospitavano i tornei, enormi e luminosissimi, si riempivano di colori in quelle occasioni: i gioielli, i vestiti da sera, le sete, gli strass, tutto scintillava; con le risate sommesse e il chiacchiericcio si sentiva un’aria di festa.
Quella sera ci fu, in mezzo al tintinnio armonioso, uno strillo acuto, inopportuno.
(…)
La mia famiglia stava bene, ma il figlio viziato non ero io, questo compito era toccato a mia sorella: lei aveva tutto. Io avevo tutto ciò che non usava più lei: giochi, libri, vestiti, quello che possedevo non era stato comprato per me, io lo riciclavo. Vi siete mai messi un maglione da donna o i jeans con le cuciture rosa almeno una volta nella vita?
(…)
Cazzo, la musica! Che ficata il mondo che ci gira intorno! Ti ci butti dentro così come sei e ti lasci portare dove vuoi... dove vuole lei. Bastavano un paio di jeans strappati, massimo due, il chiodo, la pelle e il ferro, meglio se appuntito, che riuscivi a metterti addosso. Avevo scoperto il potere della musica dal di dentro: lavoravo nei servizi d’ordine ai concerti, per una società di produzione di eventi che era già un nome mitico negli anni Ottanta, David Zard, poi diventata Barley Arts. Coprivamo quasi tutti i grandi concerti di Roma all’Olimpico, allo Stadio Flaminio, al Palasport...
Potevo fare come mi pareva, giravo truccato sdrucito con la cresta rossa e più ero sbracato meglio era…
(…)
Ero un punk, si può desiderare di più? Anarchico, ma misericordioso e accogliente, frequentavo una fauna che chiamarla eterogenea era dire poco: metallari, rockabilly, dark, mod, afro, un casino totale, ma ci univano gli stessi sorrisi aperti, e le stesse voglie: stordirsi di suoni, sesso e sballi, in questo ordine.
(…)
La roba era un buco nero che inghiottiva lo spazio, la mia storia e appiattiva il tempo in un crepuscolo eterno.
Senza accorgermene alzavo il livello di aggressività e mettevo sempre più in disparte gli scrupoli, la coscienza, la sensibilità, la mia dignità.
(…)
Gli unici intervalli erano le carcerazioni. Passavo un po’ di tempo dentro a prepararmi, a caricarmi di nuovo. Un giorno in macchina con Bruno, dopo esserci bucati…

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