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Racconti dal carcere

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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La mia storia personale
di Antimo d’Amico

Non ti svegli una mattina e decidi di collaborare con la giustizia. Non è così che funziona. Ci sono dei motivi che ti spingono a una scelta così difficile.
(…)
Ho denunciato la camorra, mi sono accusato di un mucchio di reati per conto della camorra stessa.
(…)
La vita del pentito non è bella, perché sei sempre circondato da poliziotti…
(…) A te ti tolgono dal clan e ti proteggono perché hai le porte chiuse nella malavita e non hai più credito, ti spremono come un limone fino a che possono, poi ne usano un altro e ti ritrovi magari punto a capo a sbagliare di nuovo commettendo reati. Perché dopo un po’ ti tolgono la protezione e ti liquidano con soldi che non bastano per continuare a vivere e a nascondersi.
Vivere con un passato da pentito non è facile perché devi camminare nell’ombra, devi essere invisibile, vivi sempre con la paura perché sai che sei un morto che cammina e la morte è sempre dietro la porta. Tremi al pensiero di essere riconosciuto da qualche balordo di vecchia conoscenza.
(…)
Io sono sopravvissuto ancora oggi perché uso i metodi della polizia: come camminare senza farsi vedere allo scoperto, per esempio. Ho fatto una specie di corso a furia di stare sotto scorta per cinque anni, e qualcosa ho imparato.
(…)
Ho fatto anche da infiltrato per catturare spacciatori della malavita organizzata, quando ero a conoscenza di qualche partita di droga.
La prima volta fu in carcere. Ero infiltrato nel “penale”. Collaboravo con i giudici per il mio processo. In carcere ero sottoposto a grande sorveglianza e sotto censura di corrispondenza e con la censura anche ai colloqui, avevo un agente della penitenziaria vicino e venivano registrate pure le conversazioni che avevo con mia moglie. Era tutto un trucco per mimetizzarmi: della copertura erano al corrente solo il comandante del carcere e il direttore.
(…)
Ogni volta che entro in un carcere quando vengo arrestato, devo fare sempre presente chi sono, un collaboratore di giustizia. Non posso stare tra i detenuti comuni, non dirlo è troppo pericoloso, giochi con la vita.
(…)
Fui portato al carcere di Messina per un interrogatorio dai giudici del pool antimafia, ero chiuso in isolamento e fuori alla mia cella avevo un agente fisso ventiquattr’ore su ventiquattro, mi assaggiava anche il cibo su disposizione dalla procura, erano anni caldi.
(…)
Sono stato trasferito in un carcere più sicuro. La mattina alle cinque dovevano portarmi via, in Matricola c’erano i carabinieri ad attendermi, con gli schiavettoni, le famose manette con il lucchetto, e la catena. Per sbaglio mi stavano legando con uno dei miei coimputati che era dentro per omicidio e che era stato arrestato su mie dichiarazioni.
(…)
La paura di morire c’è sempre anche se sono passati venti anni: ho toccato la camorra, la sacra corona unita e la ’ndrangheta.
(…)
Da dentro a queste mura ho conosciuto una donna per corrispondenza, è stata lei a volermi conoscere, perché ero già in contatto con la sorella. Sono quasi due anni che ci scriviamo e tra noi è nato un rapporto sentimentale. Ci raccontiamo anche le cose più banali per sentirci vicini.
Lei ha trentasei anni ed è separata, e non ha un passato come il mio. Questa donna non mi fa mancare una riga, mai. Spero di poter trovare una vita più onesta. Per dormire tranquillo con la testa sul cuscino sia per me che per lei. Perciò le ho promesso che proverò a cambiare.

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