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Racconti dal carcere

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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La notte perenne
di Pietropaolo Chiuchini

1° classificato
per la migliore storia

Testa di Cane, al secolo Simposio Fausto. Aveva un solo braccio. L’altro era morto di cancrena dopo un’inenarrabile danza viziosa. Il braccio aveva iniziato a suppurare pus dopo varie sedute totemiche a base di buchi di speedball (ero e coca sciolte assieme e poi innestate) nel sangue della bestia sacra; rapidamente la massa marcia, come una fuoriuscita di gasolio, aveva ricoperto l’intera superficie, in modo tale che, grazie all’evidente alcolemia, Testa alzava i pochi lembi di pelle rimasta e bucava nelle vene, simili a serpi pulsanti morte. La vita lo aveva reso demente, ma di quella demenza che aveva colpito le più belle teste della sua generazione. Una demenza che si credeva altro, ma che invece non era che una “resa balcanica” alle difficoltà personali e sociali; si iniziava allora a parlare di società in termini trasversali con capo e coda, della responsabilizzazione a partire da cui l’uomo pre- e post-psicoanalisi declinava progetti e scelte che, come un maglio, saranno il compromesso duraturo dell’ovvietà, del banale, mediocre quotidiano. Testa aveva una sensibilità rarefatta, dolorante, ultimo baluardo che si enucleava dalla meningite per traghettarlo verso la speranza; ma quale speranza si chiedeva sempre più spesso!
Nella stessa cella di Testa – avevo dimenticato di dirvi che era dentro da quasi tre anni – si componeva come un’Assunzione epifanica l’enclave dei Corsari della Notte Perenne, piccolo manipolo di dionisiaci, iniziati da tempo al culto dell’ostrica bianca, sostanza che dai monti nepalesi si votava “per sorta d’alchemia” a ibrido nemetico.
(…)
Veleno, al secolo Mauro Giuliano Fracassi, era il più anziano dei Corsari, ma non per questo meno pericoloso. Un fisico che, nonostante gli anni, era di una feroce bellezza, quasi agghiacciante per quello che suggeriva: violenza! Entrato per una condanna a sei mesi, si era reso famoso in tutti i carceri italiani, dove era conosciuto come il “colpitore eburneo”. (…) a causa della sua ingestibilità, veniva invariabilmente trasferito; si levava il proprio urlo da guerriero, era solito portare un kilt a calzoni comprato in Scozia, una delle nostre mete preferite, per il resto viaggiava a busto nudo anche in pieno inverno.
(…)
Altro componente fondatore della nicchia era Lucio III, signore delle droghe e della terra incogita. Capo spirituale di unico carisma, in lui i silenzi componevano una profonda realtà seduttiva. Aveva una condanna a undici anni, di cui più della metà presi per una piccola quantità di eroina, centosessantasei chili, periziata 99 punto 4, che lui stesso aveva portato da Peshawar, al confine tra Pakistan e Afghanistan, dove si produceva la miglior morfina della terra (…) Si bucava già da due anni, un contesto famigliare di alto lignaggio, nobili a tre palle (Lucio era un marchesino del cazzo)…
(…)
La mia trama con i Corsari ebbe inizio nella prima giovinezza, non avevo ancora quattordici anni ed ero bello come l’Arno e con la mente affilata come un bisturi.

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