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Racconti dal carcere

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Non più figlia della strada
di Elettra Ambrosini

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Non ho mai dormito nell’appartamento dei miei genitori, perché la notte era il momento del massimo divertimento di mio padre; quanto a mia madre, faceva la ballerina in un night di Borgaccio, un piccolo paese che divideva Tavernelle da Calcinelli. Erano i primi anni Novanta e io ero incredibilmente triste.
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Venne il 1997. Sveglia alle otto in punto, non un minuto in più, non un minuto di meno. A ogni secondo di ritardo corrispondeva uno schiaffo. “Vi educhiamo come i vostri genitori non sono riusciti a fare.” Eppure i miei avevano sempre usato lo stesso metodo, anche se né nel periodo in cui stavo a casa mia, né in quello trascorso in Casa famiglia, m’era mai parso di aver fatto qualcosa di particolarmente sbagliato.
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Un giorno mi ferii con un coltello, con l’intenzione di deturparmi le vene, come avevo visto fare in uno dei tanti film che gli operatori del centro ci avevano costretto a vedere. Arrivò Luca, uno dei cinque che avevano reso la mia vita, e pure quella degli altri bambini e ragazzi costretti a permanere in quel luogo, più che un inferno.
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«Andiamo a fare una passeggiata?»
Non avevo alternative. Se avessi dato una risposta negativa, mi avrebbe caricata in spalla a forza. Mi prese per mano, e per un momento sembrò genuinamente affettuoso. Ma a un tratto, senza alcun preavviso, mi scaraventò a terra, e il brecciolino che ricopriva il viale mi scorticò le ginocchia e i gomiti. Luca iniziò a ridere come un pazzo ma poi s’interruppe, per dirmi: «No». Che volesse dire io lo sapevo benissimo.
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Era una sera come tante altre, pressappoco identiche a quelle degli anni scorsi, il marciapiede della stazione delle corriere su cui stavamo sedute feriva i nostri fragili ossicini… Le fronti grondanti di sudore freddo, le goccioline aumentavano progressivamente, mentre noi cercavamo di scampare al gelo che ci ghiacciava la schiena con vestiti e borse di stoffa usate a mo’ di scialle.
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Ma improvvisamente due fari accecanti s’avvicinarono al marciapiede. Nella mia mente passò per un secondo, ormai che le speranze erano sopite, che quella macchina scura potesse appartenere a qualche forza dell’ordine che si apprestava a farci il controllo documenti, che noi ovviamente non avevamo.
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“Ecco, eccoli gli stronzi” pensai ancora. E invece per me e la mia compagna non ci fu che da unirci in un tripudio di felicità: finalmente il nostro uomo era arrivato.

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