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Racconti dal carcere

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Riflessioni su una vita difficile
di Ferdinando Davide

(…)
Chi me lo faceva fare, valeva la pena di lavorare tutta la giornata per guadagnare quattro spiccioli come avevano fatto mia madre e mio padre? Mi sembrava di no. Non mi mancavano i soldi in tasca, avevo tempo libero per spenderli, in più in quel che facevo trovavo quella dose di adrenalina che rendeva “interessante” la mia vita. Era anche un mettere alla prova le proprie capacità umane, seppure in modo illecito, e poi era tutt’altro che al di fuori dei valori della “società” vestirsi firmato, avere macchine nuove e belle, case lussuose, fare tre mesi di vacanze nei posti più prestigiosi e costosi, ecc. Tutto questo grazie al denaro facile che mi girava in tasca, anche per il salto di qualità che avevo fatto nel mio nuovo “lavoro”. Non vado nello specifico, ma se guardate il film Gomorra, e in particolare l’attività che si svolge nelle vele di Scampia, capirete qual era.
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Ma un vecchio detto recita: “Chi prima non pensa, dopo sospira!”.
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Solo chi ci è stato e ha vissuto all’interno di un penitenziario può sapere che significa sopravvivere lì dentro. (…) tutto a un tratto mi ritrovai a dover affrontare cose e situazioni che credevo non esistessero. C’è da dire che sì, la sofferenza in carcere è la nostra, ma non esclusivamente: anche le nostre famiglie soffrono, non solo perché immaginano dove stiamo, ma anche perché farci una visita è una tortura vera e propria. Nel carcere dove stavo io, e cioè Poggioreale, una famiglia si presentava al portone d’ingresso alle sei del mattino, ma per colpa del sovraffollamento usciva, se tutto andava bene, non prima delle sedici. E tutto questo per un colloquio visivo di circa cinquantacinque minuti in una stanza insieme con altre sette, otto famiglie, ognuna composta da almeno tre persone. In carcere si vive spesso in sei, otto, dieci, talvolta dodici persone in diciotto-venti metri quadri di cella, naturalmente servizi igienici e cucina compresa, senza contare lo spazio occupato da brande per dormire, armadietti per gli abiti, tavoli e sgabelli per mangiare e per scrivere. Un’altra chicca del carcere di Poggioreale è che la doccia si può fare solo due volte alla settimana, all’esterno della propria cella.
(…)
È una lotta continua dove sei costretto a adattarti a troppe mentalità diverse tra loro e allo stesso tempo diverse da te; c’è anche da dire che si può fare tranquillamente amicizia, ma poiché quasi sempre è un’amicizia finta, di convenienza o addirittura con un doppio fine, l’abilità sta proprio nel saper capire e distinguere.
(…)
Si diventa diffidenti su ogni cosa: per esempio, se non ricevi la posta, pensi che te l’hanno cestinata, o che magari l’agente di sezione non ha voglia di consegnartela, persino che possa essere accaduto qualcosa di brutto a qualche familiare…
(…) Fisso la tv, ma con la mente evado. In carcere disagi e problemi non mancano mai, ma la drammaticità vera e propria si vive quando si raggiunge la sera: allora i pensieri assumono il totale e pieno controllo impedendomi di addormentarmi, e mi costa non poca fatica far terminare una giornata infernale per poi iniziarne un’altra.

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