SIAMO NOI, SIAMO IN TANTI
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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La pena di morte dell’ergastolo
di Pasquale De Feo

Avevo fame, ogni giorno lo stomaco occupava i pensieri e dopo mangiato avevo sempre mal di pancia. Tutto il contesto era opprimente, persino i colori della cella erano stati dipinti con quelli più deprimenti, per fiaccare le Brigate Rosse che alla fine si ribellarono e distrussero la famigerata sezione Fornelli dell’Asinara, all’inizio degli anni Ottanta.
……………………………………… In certi momenti ci guardavamo e ci dicevamo: “Un giorno, quando lo racconteremo, non ci crederanno”. …………………………
Nei primi giorni era tanto il mal di pancia dopo mangiato che iniziai a nutrirmi solo di pane e frutta, ma dovetti soccombere e vincere la nausea. Tempo dopo venimmo a sapere che nel mangiare ci buttavano ogni tipo di schifezza: detersivi, cibi scaduti, urina e altro. Guardavo nel piatto di pasta e fagioli, vedevo numerosi vermi bianchi e non mi decidevo a mangiare, ma il mio coimputato mi spronava: “Mangia che sono proteine, dobbiamo sopravvivere!”. Mangiai tutto il piatto e così tutti i giorni in cui rimasi in quell’inferno.
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Il muro della vita può andare in frantumi con lo spostamento di un solo mattone, e ciò avvenne a causa di una voce paesana, che una volta partita, non si sa da chi e non si sa come, si alimentava da sola, come una scintilla in un pagliaio che, fomentata dal vento, appicca il fuoco che cresce a dismisura, facendo diventare realtà le fantasie e le paure dei paesani. “Ucciso superboss della camorra”. …………………………………………….. Il colpevole ero io per la gente, ed era stato certificato anche dal morto ai Carabinieri, in via confidenziale: “L’unico che può farmi qualcosa è lui. Se succede, sapete chi cercare.” Queste affermazioni post mortem ebbero un peso enorme, insieme alle voci popolari che il colpevole ero io.
Per l’appello ero pieno di ottimismo per due buone ragioni; la perizia del DNA, che era a me favorevole, e le dichiarazioni di un pentito che mi scagionava.
L’ottimismo si tramutò in delusione con la conferma dell’ergastolo. Questa pena che gli uffici matricole delle carceri trascrivono con la dicitura “fine pena mai”, oppure con ironia e sarcasmo “fine pena 9999”, ossia novemilanovecentonovantanove, anche a scriverlo è lungo. L’ergastolo allunga tutto e si sconta tutto, “fino alla morte del reo”; ………………………………………
Non abbiamo la pena di morte, ma il “fine pena mai” ne è l’equivalente: una pena di morte diluita nel tempo. Anche i rivoluzionari francesi lasciarono la pena di morte ma abolirono l’ergastolo, ritenendolo aberrante. La pena di morte ha bisogno di un coraggio momentaneo, l’ergastolo di quello di un’intera esistenza.
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La sera, sdraiato sul letto, i miei pensieri viaggiavano per sfuggire a una quotidianità terribile; mi rivedevo bambino mentre ero a casa dei nonni paterni, mentre il nonno m’insegnava a ballare la tarantella……………………………………………………… Il paese dove abitavano è nel Cilento, in provincia di Salerno; entrambi i miei genitori provengono dal Cilento. Il capostipite, Pasquale, veniva di là ed era il mio bisbisnonno. Con l’Unità d’Italia del 1861 si scontrò con i piemontesi e ne uccise tre, da latitante si rifugiò, ospite del marchese locale. I racconti paesani, quelli che chiamano “li cunti”, dicono che il marchese che l’ospitò, prima che potesse tradirlo e consegnarlo ai “savoiardi” piemontesi, una sera fu atteso da questo mio avo, che lo uccise. Siccome solo il marchese sapeva chi fosse, visse tranquillo per il resto dei suoi giorni senza mai conoscere il carcere. All’epoca era considerato un brigante.
……………………………………………… Sono stato molte volte sul punto di lasciarmi andare, di addormentarmi e non svegliarmi più per ritrovare la pace.
Non avevo mai creduto, leggendolo, che può bastare una piccola frase per darti una spinta che ti fa superare qualunque ostacolo. Un giorno, un amico mi diede da leggere un libro di Friedrich Nietzsche Così parlò Zaratustra. Mentre lo leggevo svogliatamente, lessi queste parole: “I morti hanno sempre torto”, e più avanti “Il dolore che non ti uccide ti rende forte”. Scattò in me qualcosa che innescò una reazione profonda. Iniziai a fare ginnastica e a leggere. La mente sembrava una locomotiva che andava a tutto vapore e iniziai a rivedere il mondo a colori.

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