SIAMO NOI, SIAMO IN TANTI
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera
In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
Rai Eri Viale Mazzini, 14 - 00195 Roma / Tutti i diritti riservati
Quattrometriquadri
di Michele Celano
II biglietto per Marsiglia non costa molto. Salgo…………………………………………… Ci stavo andando per dare un senso alla mia vita,
inseguito dalla polizia, dalla cocaina, dai sensi di colpa, dai fantasmi che cercavano di riportarmi dove mi ero
calato per gioco, per sfida, per prova, per curiosità, per carenza, per stupidità.
……………………………………L’arruolamento consiste, inizialmente, nel firmare una sorta di contratto della durata di cinque anni,
dove in pratica diventando un legionario sarai soltanto Suo, della Legiòn e della sua patria: la Francia.
Spogliato di ogni abito personale e privato della vecchia carta d’identità, solitamente falsa per ogni cercatore di
altra vita che si reca in quel posto, mi diedero una tuta sportiva colore verde e delle scarpe Adidas, portandomi
come un turista nella mensa. Lo fanno per tradizione. …………………………
Il giorno che superai il cancello, insieme a me c’erano altri ragazzi. Tutti giovani, provenienti da ogni parte della
terra, in fuga da qualcuno e da qualcosa: comunisti della Serbia, Valloni del Belgio con il mito di Leon Degrelle,
nazionalisti olandesi, nostalgici hitleriani della Germania, Ustascia croati, anarchici spagnoli, irlandesi di una
Belfast occupata dagli inglesi e, ironia della sorte, soprattutto britannici. ……………………………………………………..
Sveglia alle 4:00, abluzioni, appello e saluto alla bandiera alle 4:30. Baguette e latte bianco, marmellata,
cioccolata fondente, formaggio e uova sode sono parte della ricca colazione del legionario. Ginnastica sfiancante,
acido lattico a riempire ogni muscolo, percorsi di guerra variegati, addestramento alle armi di ogni genere e
tipo. ……………………………………. La prova del “paperino” è qualcosa di incredibile. Consiste nel venire picchiato fino allo
sfinimento da tutti i tuoi camerati. …………………………………….. Se la superi senza versare una lacrima, senza un lamento,
sei sulla buona strada per farti accettare da tutta la compagnia. A me è costata due costole rotte, il setto nasale
spaccato, gli occhi tumefatti per venti giorni ……………………………………
Noi “stranieri” non avevamo neppure i documenti per l’espatrio. Anche volendo, non potevamo tornare indietro. Solo la
diserzione ci avrebbe permesso di lasciare Aubogne, ma chissà cosa avremmo ritrovato. La mia libera uscita consisteva
nell’andarmene in un piccolo borgo marinaro a pochi chilometri dalla base: La Ciudad. …………………………………….
II bar della piazza centrale del borgo era il ritrovo della mia compagnia. Giocavamo alla “Belote”, una sorta di
ramino, bevendo anice allungato con l’acqua minerale Perrier e pescando dalla diga del piccolo porto pesci di scoglio,
buoni soltanto per la vista e per le risate tra noi “duri”. Una mattina, al contrappello, il capitano Kazinski, un
polacco naturalizzato francese con 20 anni di servizio ed ex appartenente al O.A.S. francese …………………………………….. mi
chiamò a rapporto. Parlava bene l’italiano. Diceva che lo aveva imparato dalle puttane del mio paese. Mi chiese se
volevo essere trasferito a Calvi, in Corsica. In quella isola c’era il distaccamento del 2° reparto
paracadutisti. …………………………………….
Dalle strade della solitudine ero arrivato a sentirmi un uomo, un qualcuno ben delineato. …………………………………… Nel 1983 la
Francia decise, insieme all’America e alla mia ex nazione di appartenenza, di intervenire in Libano. La chiamarono
missione di pace, di fatto un intervento armato in tutti i sensi. ………………………………
Ero in Legione da 15 mesi. Ora, la storia si faceva veramente seria. Sognavo il deserto, perché ne celavo uno dentro
di me. Fui assegnato con la mia squadra a fare la scorta a camion di merci, che dalla Valle della Bekaa (ai confini
con la Siria) trasportavano ogni materiale possibile fino alla capitale, controllata da diverse fazioni. Una terra di
tutti e di nessuno. Il mitragliatore portato a tracolla (il FAMAS), in calibro 5,56 NATO, era uno dei più
avveniristici fucili di assalto in quel 1983.………………………………
La mia compagnia si chiamava chat noir, perché era composta in prevalenza da arruolati di pelle più scura dei
francesi. L’unico vero francese era il nostro ufficiale dal nome transalpino improbabile: Schramme.
Dormivamo in una vecchia scuola abbandonata a 50 km da Beirut, nel feudo di un signore della guerra che si chiamava
Walid Jumblatt ……………………………
Scavo nei detriti a mani nude. Le unghie si spezzano sotto i calcinacci. Sento le urla in francese dei sopravvissuti,
rimasti feriti sotto le macerie: “Maman, maman!”. Sotto una trave riconosco François Derrand, un lionese con cui
uscivo durante le licenze quando ero ad Aubogne.………………........................ Fino a notte fonda è solo sangue.
……………………………………
Con il commilitone Farid abbiamo avuto 24 ore di licenza. Possiamo andare a sbronzarci a Beirut. Possiamo scoparci
una puttana, non importa se cattolica, musulmana o buddista. ………………………………… Prendiamo una stanza in una pensione
di quarto ordine a ridosso della linea verde controllata dagli americani e dai falangisti cristiani di Bechir
Gemayel al soldo della CIA. La stanza puzza di piscio. ………………………………… Farid non è nuovo alla droga. Ha iniziato a
dialogarci a Parigi, tra i suoi connazionali provenienti da una ex colonia francese, ma mai divenuti
“cittadini”.………………… M’insegna a fumarla alla “cinese”, aspirandola da un cannello di vetro, mentre la polvere
scorre sopra la carta stagnola, bruciata dalla fiamma dell’accendino militare ZIPPO. La guerra se ne va,
apparentemente, per un istante senza fine diventa paradiso della pace e della quiete. Eroina. Mi sveglio la mattina
dopo come se nulla fosse accaduto. È così che va le prime volte!