SIAMO NOI, SIAMO IN TANTI
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
Rai Eri Viale Mazzini, 14 - 00195 Roma / Tutti i diritti riservati

Un ricordo indelebile
di Giovanni Arcuri

………………………….Da alcuni anni mi ero trasferito dagli Stati Uniti in Venezuela, dove avevo la comproprietà di un casinò in una bella cittadina sul mar dei Caraibi………..
A un tratto, mentre sorseggiavo il caffè, portato dalla brezza, debole come il ronzio di un insetto in lontananza, giunse il rumore di un elicottero, che a poco a poco si fece sempre più assordante.
……………In meno di venti secondi eravamo circondati e sotto la minaccia delle armi…..
Un uomo alto, con una tuta mimetica grigia e una mini Uzi a tracolla, si presentò come il direttore dell’operazione e mi chiese come mi chiamavo……………………………….. Mi diedero dieci minuti per preparare una borsa con l’occorrente e salutare mia moglie e mia figlia.
………………………….. Guardai sparire la mia casa dall’alto dell’elicottero quando non erano nemmeno le 10 del mattino e il mio cuore batteva all’impazzata.
Tutto era avvenuto in meno di un’ora. La mia vita era stata stravolta in un batter d’occhio.
Questo era solo l’inizio………………………………………………………………………
Mi portarono in una camera di sicurezza senza bagno, dove c’era un giaciglio di cemento e mi dissero che nell’arco di due giorni mi avrebbero trasferito in carcere. Non mi fu dato di sapere quale.
………………………..Il carcere de Los Flores de Catia di Caracas, in particolare, era ritenuto uno dei peggiori di tutta l’America Latina…………………………………… Una terra di nessuno dove regnava la legge del più forte. Al solo pensare che sarei potuto capitare lì mi veniva la pelle d’oca.
Passarono altre ventiquattrore senza notizie, all’alba del terzo giorno mi svegliarono di soprassalto e mi dissero di prendere la mia roba, mi stavano trasferendo…………………...
I miei compagni di viaggio erano esperti e mi dissero subito che stavamo andando proprio lì. “Vamos pà el Monstruo...”.
Il “Mostro” lo chiamavano, e non era certo un caso…………………………………………
……………………………. Un lungo corridoio semibuio dirigeva verso una porta tutta arrugginita con una catena legata a un lucchetto gigante, sembrava quasi una botola. Le due guardie la aprirono e mi spinsero dentro richiudendo velocemente, quasi fosse un lebbrosario.
“Buona fortuna!” gridarono sghignazzando.
Mi ritrovai nella quasi oscurità, cercai a poco a poco di abituare gli occhi e mi accorsi che sotto di me iniziava una lunga scala da dove s’intravedevano dei falò. Faceva freddo. Mentre scendevo, incrociavo detenuti che dormivano sulle scale, altri cucinavano su dei fornelli da campeggio, o si riscaldavano al fuoco. Mi guardavano come fossi un extraterrestre. Vidi numerosi topi che si aggiravano, alcuni erano grandi come gatti.
………………………………………
Un detenuto mulatto con la bandana in testa e alto quasi due metri si materializzò davanti a me con un machete in mano e mi chiese perché ero lì. …………senza troppi convenevoli mi ordinò di seguirlo. Non credo di aver avuto altre possibilità. ……………………………
I detenuti avevano quasi tutti il cellulare.………………... Circolavano anche armi e denaro contante………………………Notai che le celle di cemento erano poche, la maggior parte dei detenuti era accampata sotto dei lenzuoli fissati per terra con dei chiodi, tipo tenda, e lo spazio da un giaciglio all’altro era di pochi centimetri………………… Alla fine, arrivammo di fronte a una cella dove c’erano tre uomini armati davanti alla porta. Avevano un lungo filo appeso al collo, con piccole borse di plastica contenenti polvere bianca, presumibilmente cocaina. ………………………………………
Mi venne incontro un uomo magro, tutto vestito di bianco e pieno d’oro.
“Sei stato fortunato che ti ha visto prima dei pirañas”.
“Chi sono i pirañas?” chiesi.
“Sono quelli che vivono sotto le scale. Mangiano qualsiasi schifezza… Prima ti uccidono e poi ti rubano tutto. Lui ti ha visto prima di loro, dovrai fargli un regalo..”.
“Mi hanno rubato la borsa appena sono sceso dalle scale...”.
“Dimenticala”. Poi, squadrandomi da capo a piedi: “Tu sai chi sono?”.
“No, mi dispiace”.
In seguito seppi che era il Santero…………………………………………………………...
Il Santero aveva partecipato alla famosa guerra avvenuta nel carcere di Barcelona, Puente Ayala, dove il gruppo dei vincitori aveva lasciato nel patio decine di morti e diverse teste decapitate con le quali giocarono a calcio prima dell’arrivo della Guardia Nazionale. Furono spediti tutti nel carcere di massima sicurezza dell’Eldorado, nella giungla amazzonica venezuelana. La maggior parte morì di malattie tropicali, torture e denutrizione. Il Santero riuscì a sopravvivere.
…………………………………………
“Posso darti una cella di cemento con un materasso, un televisore, un ventilatore e un telefono cellulare. E la garanzia che nessuno ti torcerà un capello. In cambio ho bisogno di una “collaborazione”..........................................................................

Promotori

medaglia del presidente della repubblica

sponsor tecnici