MALA VITA
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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I bambini del nido blu
di Nezha Er-Raouy

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La mia prima carcerazione è stata il 2 maggio 2011. Che incubo, non ero sola, c'era anche lui, il mio bambino ricciolino. La mia principessa bambina, invece, lasciata a casa con mia sorella e mia cognata.
Ci hanno portato al nido di Sollicciano, io ero un corpo che camminava senza passi, perché i piedi non mi reggevano. A sentire l'odore del mio bambino che tenevo in braccio, mi svegliavo e girandomi verso di lui gli dicevo «Amore, vuoi il ciuccio?». Non parlava, mi faceva segno di sì con la testa.
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Al nostro arrivo notai che avevano fatto di tutto per renderlo un nido: cancello normale colorato di verde, disegni di cartoni animati sulle pareti, addirittura le celle preferiscono chiamarle camere, porte normali, letti normali, armadi di legno, niente ferro, solamente nelle finestre con le sbarre dipinte di blu, una cucina, una sala spaziosa, tanti pupazzi, un tavolino e delle seggioline. Ma la domanda che s'imponeva in me con insistenza era: «Ma il bambino si sente a suo agio, è contento?». Nessuno lo sa, solamente quella piccola anima fragile, innocente.
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Noi mamme non facciamo altro che guardarci negli occhi, i nostri figli appiccicati a noi, mute e con una domanda in testa: perché ce li siamo portati qui?
Poveri bambini, ci sono delle regole da seguire in questo posto, ma loro che ne sanno? Alle otto di mattina aprono le porte, però c’è qualche bambino che si sveglia e non può uscire. Alle nove passa la colazione ma lui non ne ha voglia. Vuole uscire all’aria e se disgraziatamente gli scappa la pipì e fai in ritardo, salta l'aria. Quando arriva il pranzo, quanta fatica per convincerli a mangiare, una mamma guarda l'altra e tutte e due si domandano: non hanno fame?
Quei piccoli hanno un peso dentro, vogliono sfogarsi, c'è chi salta da un posto all’altro. C’è una cameretta, la chiamano "angolo morbido" dove potrebbero passare il tempo giocando, ma è sempre chiusa, la aprono quando viene la responsabile. E quando viene? Quando le pare.
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I volontari del Telefono Azzurro venivano a giocare con loro, una volta li hanno portati ai giardini. Il mio ci è andato, era contentissimo, quando è tornato mi ha detto: «Mamma, mi hanno comprato il gelato».
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Quei bambini seminati nel cuore dell'inverno dentro quel nido, fioriranno un giorno, ne sono certa, perché loro sanno cos'è l'amore, l'amicizia, il perdono, sanno dire scusa quando capita un litigio per un giocattolo, sanno dimenticare, sanno portare avanti la loro convivenza, il loro destino giocando. Invece noi, le grandi donne, sempre a litigare per cose banali.
Sento dei martelli che rimbombano dentro di me, sono emozioni. Lo vedo ancora il mio fiorellino fra gli altri, che gioca, altri sono ancora qui, ma non voglio interrompere il flusso dei ricordi...

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