MALA VITA
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera
In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Quand’ho cominciato a sbandare
di Simone Messali
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Hanno portato via mio padre, io c’ero. Il nostro bar, ce l’avevamo da due anni, stavo proprio arrivando lì, come ogni pomeriggio, per rimanere un po’ e dare una mano.
In piazza però qualcosa di diverso: tante macchine della polizia, i lampeggianti, gli uomini in divisa con i mitra, che ci facevano davanti al bar?
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Il maresciallo ha spiegato a mia madre che doveva arrestarlo, che c’erano dei testimoni e delle foto che dimostravano che lui spacciava e prendeva soldi.
Insomma che c’erano le prove.
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Quand’ho cominciato a sbandare?
Ecco, forse ho cominciato proprio quell’anno, alla fine dell’estate.
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…cose piccole, furtarelli: i portafogli in discoteca, il navigatore nelle macchine, lo stereo, cose così, poi li rivendevo e qualcosa tiravo su, ma poco, troppo poco.
Andavo anche nei garage, in uno ho trovato una macchina con le chiavi attaccate. Ero con due amici, l’abbiamo presa e subito in giro a divertirci. Che scemi! Ci ha
fermato la polizia: dritti in caserma, bloccati per un sacco di ore, ci hanno preso le impronte, ma eravamo tutti al primo reato perciò ci hanno rilasciato.
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Per un po’ ho rigato dritto, a scuola comunque ci andavo poco, nel frattempo ho conosciuto Roberta. Era una bella ragazza di diciassette anni, mi trovavo bene con
lei e mi stavo innamorando. Quando le stavo accanto era come se tutti i miei problemi non esistessero più e pensavo, forse, di aver trovato una via di uscita da
tutti i miei casini.
Una sera, uno che conoscevo mi propone di fare una rapina in casa di un signore che aveva cinquantamila euro perché aveva vinto alla lotteria.
Prima le manette, strettissime (mi è rimasto ancora il segno), poi ci fanno coprire il volto con il cappuccio della felpa. Mi domandavo perché, poi ho capito:
appena usciti dalla caserma c’erano i fotografi dei giornali, sembrava un film. Ci spingono in macchina sui sedili dietro e via.
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Il giorno dell’udienza ci prendono e ci portano in una saletta. Ci sono i nostri avvocati, c’è mia mamma, mio fratello, la nonna.
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Il pubblico ministero esprime la sua opinione e chiede tre anni di carcere, ma il giudice ci manda agli arresti domiciliari e ci affida a un assistente sociale.
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Dopo sei mesi mi hanno concesso le prescrizioni, vale a dire che potevo uscire da casa e iniziare un percorso all’esterno, come volontario, alla Caritas. Era bello
impegnarmi in qualcosa che mi faceva capire molto della vita, vedevo tantissima gente povera, con problemi come i miei e persino più gravi, che veniva lì a chiedere
vestiti, giocattoli per i figli piccoli e anche da mangiare.
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Ho fatto quasi un anno così…
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…finché una mattina…viene a prendermi con una macchina che non avevo mai visto, ma sembra a posto.
Prima tiriamo un po’ di coca, poi partiamo in cerca di soldi, di qualcosa da rubare. Vediamo le signore passare in bici con le borse nei cestini, ci guardiamo e
incominciamo l’assalto: affiancati alle bici, tiro giù il finestrino, prendo la borsa e via. Per quattro volte ripeto l’azione finché dietro di noi compare una
pattuglia dei carabinieri.
Siamo fregati, la galera stavolta non ce la toglie nessuno. Ci fanno segno con gli abbaglianti, accendono la sirena e ci fanno accostare.
Il mio amico mi guarda e mi dice che la macchina non è in regola e che lui non ha la patente. Non ci credo...
I carabinieri ci chiedono i documenti, ci fanno scendere, e dai controlli si accorgono che la macchina è rubata. Poi ci perquisiscono e ci trovano molti soldi in
tasca, carte di credito e telefonini. Ci chiedono conto di tutta quella roba ma noi, niente, non rispondiamo. Ci portano in caserma dove, nel frattempo, arrivano
le signore che abbiamo derubato. Ci riconoscono, siamo fregati.
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