IL GIARDINO DI CEMENTO ARMATO
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Brani da racconto: Cosi mi nasceva la solitudine
di Salvatore Saitto

Casa di reclusione di Orvieto. C’era una volta una rupe e sulla rupe sorgeva un castello circondato da alte mura e nel castello quasi vivevano tanti uomini e c’era un principe con i suoi cortigiani e i cortigiani dei cortigiani. Nel grande castello il cielo a volte era grigio anche quando splendeva il sole e a volte qualcuno passeggiava senza passeggiare.
Che mondo vario e variegato esisteva nel vecchio castello: uno spicchio di mondo e ognuno difendeva il suo pezzo, ma tutti sognavano il giorno in cui avrebbero lasciato alle loro spalle il portonaccio di legno tarlato.
Raccontavo e raccontavo, la sera a questi ragazzi, seduti al tavolo al centro della cella numero undici. Mi ascoltavano e viaggiavano con me, che domande strane facevano, ragazzi di Scampia che non si erano mai mossi dal quartiere, che conoscevano poco della vita, mi domandavano di tutto. Peppe non sapeva se sono i comunisti o i fascisti a salutare con il pugno chiuso, Gino credeva che Che Guevara, fosse un passato grande giocatore di calcio sudamericano.
[…]

La vita correva, fuori e dentro le mura, mentre noi ci fermavamo con i ricordi all’ultimo giorno di libertà e non ci restava che tornare indietro, ricordare una ragazza che nel frattempo non lo era più, l’odore della cucina una domenica, il profumo della signora affianco nell’ascensore, il Napoli con Michele il meccanico, il corpo di Claudio ucciso a piazza Sannazzaro. Intanto guardavo il tempo passare e correre, provai a sbarrargli la strada, ma esso mi travolse senza degnarmi neanche di uno sguardo. A volte, solo, nella branda, mi soffermavo a pensare che in effetti mi piacerebbe fare a ritroso il cammino di Daniel e Cassel, i due angeli custodi del “Cielo sopra Berlino”. Essi diventano uomini e sperimentano così il sangue e il dolore, vedono per la prima volta i colori, il caffè caldo, il cibo buono, il calore del sole, l’amore e il ventre caldo di una donna, ma Cassel, ormai umano impotente, niente potrà per salvare dal suicidio un giovane. Così, sorpreso dal pensiero nefando di abbandonare la vita, mi tuffavo nella barca con Ernest a pescare i marlin. Così mi nasceva la solitudine.
[…]

Ci scambiavamo le storie, storie di vita, la nostra realtà raccontata di sera tardi, chiusi in un bagno un metro per un metro, caffè e sigarette, avventure e disavventure, volavamo dall’India fin giù le fogne sotto qualche banca. Serate lunghe fin quando ci sentivamo sicuri che il sonno ci avesse colti appena nel letto, senza che il cervello cominciasse a correre. Una sera parlammo più a lungo del solito, il Napoli aveva perso col Villareal e noi ci sentivamo un poco così, il carcere amplifica tutto. Andammo a letto passate le due, in punta di piedi, per non disturbare i nostri compagni. Dopo poco, un sussurro: “Rore, Roreeee“.
“Dimmi, Salvatò”.
“Ma se putess fa nata rivoluzione?”
“Salvatò e tu alle due di notte vuò sapè se si può fare un’altra rivoluzione?”
“Ma pecchè ci sta un orario?” e giù un grande risata soffocata.
“Buonanotte”.

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