IL GIARDINO DI CEMENTO ARMATO
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
Rai Eri / Tutti i diritti riservati

Brani da racconto: Il prezzo della libertà
di Chuck

Kal era un tipo molto disordinato, proprio diseducato all’ordine; i vestiti, le scarpe, i suoi asciugamani stavano dappertutto. La cosa mi disturbava e aspettavo solo l’occasione giusta, ma fu lui a parlare per primo: “Io no boxe, tu vaffanculo! Lasciami stare”.
Arrivammo uno di fronte all’altro, cominciò a urlarmi contro, e io mi innervosii.
Non ci fu la rissa solo perché per Kal provavo tenerezza e allo stesso tempo timore, e mi stupì quando mi disse con il suo accento sud equatoriale: “Io no boxe, tu vaffanculo! Lasciami stare”.
Non mi accesi per il “vaffanculo”.
Per un paio di giorni Kal non mi rivolse la parola, come se la discussione partita per il suo disordine fosse stata un modo per prenderlo in giro. Tutti eravamo abituati al suo silenzio.
[…]

“Kal, te la posso chiedere una cosa? Ma cosa ti è successo al collo? Come te la sei procurata quella cicatrice?”.
Lui abbassò lo sguardo e tentò di evadere la risposta, ma la mia curiosità fu così forte che lo misi alle strette. Kal cercò di girarsi, ma io lo fissai negli occhi per la prima volta.
Tirò fuori una serie di parole senza ordine né senso, parole appiccicate: paese, guerra, cattiva, sangue, famiglia, solo, io, fucile, bastardi, morte, mamma.
Dopo la raffica venne il silenzio, e poi il pianto, incontrollato, incontrollabile.
[…]

Mi chiamo Kal e da bambino vivevo in una baracca in Somalia.
Da piccolo io giocavo in mezzo ai rifiuti.
Ho perso tanti compagni di gioco, scomparsi all’improvviso, di notte, come un brutto sogno.
Ogni notte qualcuno andava via, non si sa dove.
“Perché i miei amici non vengono più a giocare?”. Qualcuno rispose: “Perché loro ora sono uomini!”. “E come sono diventati uomini?”. “Vieni con me, seguimi, ti farò vedere le cose degli uomini”. Mi accompagnò ai margini del villaggio e mi fece entrare
in una capanna; al buio, nascosto sotto un mucchio di stoffe, c’era un oggetto nero, un mitra, e alcuni coltelli.
“Con queste cose i tuoi amici hanno saputo indossare le vesti dei soldati per portare onore alla terra e sono diventati uomini”.
[…]

Da quel momento la mia vita non fu più la stessa.
Quella stessa notte lasciai il villaggio, senza dire nulla, senza salutare nessuno, scelsi una vita da cani dentro la boscaglia, insieme ad altri balordi.
In famiglia pensarono che fossi morto.
Il primo luogo in cui si va a rubare non si dimentica mai, come un rito d’iniziazione degli antichi.
Una piccola capanna isolata, tra il bosco e la palude; non c’era nessuno ma tutto era in ordine e pronto per essere usato, la cucina, i letti, il tavolo, come se la gente fosse uscita un attimo a fumare una sigaretta.
C’erano alcune casse di legno, ci avvicinammo con il mitra impugnato.
Quelle casse contenevano armi di tutti i tipi, un vero arsenale, pistole e fucili, bombe, granate, mine anticarro.
Poi, all’improvviso, sentimmo il rumore di un carro, troppo tardi per poter abbandonare la capanna e fuggire nel bosco.
Non trovammo una via di fuga.
La capanna si riempì di uomini e di bambini con la faccia brutta degli uomini. Ci gridavano in faccia parolacce, ci sputavano addosso e poi botte da orbi e qualcuno che sparava sul tetto.
Dalla paura me la feci addosso. “Ti prego non mi uccidere, sono solo un bambino”. Ci graziarono e ci condussero nella loro vita d’inferno.
[…]

Mi addestrarono, a suon di botte, all’uso delle armi e delle bombe, m’insegnarono a sparare senza pensare; come in un gioco infantile, mi dissero che quando si spara si deve ridere.

Promotori

medaglia del presidente della repubblica

sponsor tecnici