IL GIARDINO DI CEMENTO ARMATO
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Brani da racconto: Maschere dell'indifferenza
di Corvus

Ogni detenuto ha la sua storia. Quella di Claudio è come ricostruire un puzzle, fatto di anni. Non ero un suo amico, un po’ perché non lo ha mai concesso, un po’ perché io non l’ho mai voluto, ma col tempo cominciai a comprendere il suo dolore, così sottile e intriso di silenzi. In comune dividevamo il tempo degli scacchi.
Ho conosciuto Claudio fra queste mura. Sapevo che stava pagando l’omicidio della sua donna, non sembrava una persona capace di tanto.
Claudio avrebbe voluto rinascere con sembianze diverse per non riconoscersi allo specchio ma non fu così.
[…]

Divise il mondo in due: il mondo reale e quello irreale. Si convinse che fosse l’unico modo per sopravvivere senza rinunciare a vivere. Mise dell’olio sull’anima per farsi scivolare gli eventi dannosi. Ma non era sufficiente. Aveva bisogno di controllare le emozioni reali, doveva tenere le persone che amava fuori dalla verità, doveva proteggere la madre che ormai aveva ottantacinque anni. Quando gli venne in visita, era convinta che mancassero pochi anni alla sua libertà e gli diceva che una volta tornato a casa gli avrebbe preparato le melanzane alla parmigiana. Ogni volta la vedeva più stanca, lui le sorrideva, evitando il discorso della libertà, ma sapeva che sedersi a tavola con lei forse non sarebbe più successo, avrebbe dovuto campare cent’anni.
[…]

“Il colloquio. Torre ci vai dalla psicologa?”.
[…]

“Ti trovo bene Claudio”.
“Grazie, aspetto di fare il colloquio”.
“Ottimo. E chi viene a farti visita?”.
“Mia madre, ho solo lei che viene a trovarmi”.
“Bene. Mentre aspetti, possiamo parlare un po’”.
“La ringrazio. Lei è simpatica”.
“Sono felice che sia così. Hai voglia di parlarmi dite? Da quanto tempo ti trovi qui?”. Domande di cui conosceva perfettamente la risposta, ma l’ideale per sondare il terreno dietro quella facciata imperturbabile che le stava seduta di fronte.
“Cinque anni e sei mesi, giorno più giorno meno”.
“E l’ultima volta che hai visto tua madre?”. “Saranno passati un paio di mesi dall’ultima volta ma oggi viene di sicuro. Le ho preparato la torta di mele. Se vuole le do la ricetta”.
“Magari la prossima volta. Perché ti trovi qui?”. Aveva rotto il ghiaccio e non intendeva mollare la presa.
“Dovrebbe saperlo, c’è sulla mia scheda”.
“Scusami, ma nella fretta questa mattina l’ho dimenticata”.
“Non lo so, ho così tanti reati che nemmeno li conto più, ma penso che sia per un vecchio cumulo di pene”.
Tranquillo, cordiale, apparentemente imperturbabile, la dottoressa ne scrutava ogni centimetro di pelle alla ricerca di un segnale di cedimento.
Claudio guardava continuamente l’orologio che portava al polso e si rese conto che il gesto non era sfuggito allo sguardo attento della dottoressa.
[…]

L’orario della fine delle visite era ormai prossimo.
“Adesso devo andare, mi ha fatto piacere stare qui con lei”.
La dottoressa gli strinse la mano, dovette ammettere che era un bell’uomo e anche il suo modo gentile di salutarla si distingueva all’interno del carcere. Venne a sapere che da mesi non riceveva più alcuna visita. La madre era morta.
[…]

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