IL GIARDINO DI CEMENTO ARMATO
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Brani da racconto: (Non) Ho paura
di Gabriel

In questo quartiere la strada è quasi sempre deserta, i lampioni sono rotti. Sono sicuro che dietro le persiane c’è sempre qualcuno che spia e mi
guardo sempre intorno. Mi chiamo Gabriel, sono del quartiere San Camillo
e non ho mai paura di niente. I palazzi, qui, sono molto strani e quando apri il
portone c’è un cattivo odore, sembra puzza di muffa. Mia madre mi dice di stare attento perché ci potrebbe essere qualche scalino rotto. “Dove sono finito?” mi chiedo, in questo posto non mi sento a mio agio. Il suo appartamento è al terzo piano, le stanze non sono molto grandi, tranne il salotto, dove c’è un grande televisore al plasma e un acquario con dei pesci colorati. Mario, il convivente di mia madre, non è un morto di fame e ci tiene a farlo vedere.
[…]

La prima notte è andata discretamente. La mattina mi alzo per fare colazione e vedo Mario scuro in volto. Mugugnando mi dice che, per stare in questa casa, il cibo me lo devo guadagnare. Dentro di me penso che almeno poteva dirmi “buongiorno” e mi viene in mente che, quando stavo dalla nonna, i momenti trascorsi a tavola erano i più belli per condividere le cose che facevamo durante il resto della giornata.
Ora però mi ritrovo qui, in un posto dove mi sento estraneo. Mario si arrabbia, sbatte un pugno sul tavolo, io mi sento a disagio, ma ingoiando gli dico che cercherò un lavoro.
[…]

Ancora non capisco in che modo posso rendermi utile, ed è a quel punto che mia madre va a prendere uno scatolone, lo mette al centro del tavolo e aprendolo mi dice con un bel sorriso sulle labbra “Guarda che meraviglia!”. Lo scatolone è pieno di panetti di fumo. Io so benissimo che cosa sono, ma non ne ho mai visti così tanti.
Mario afferra un coltello e rivolto a me “Ora t’insegno come si fanno le stecche”. Osservo le sue mani che con pochi tagli ricavano dei bastoncini lunghi quanto un dito, mi dice di fare attenzione perché ci vuole poco perché si rompano, intanto mia madre prende della pellicola che servirà ad avvolgere le stecche. Con molta tensione mi metto al lavoro.
[…]

La mattina dopo preparo lo zaino per andare a scuola, come facevo prima. Adesso, però, nell’astuccio ho infilato venti stecche che devo piazzare.
Sono contento che papà non possa vedermi. Il mio nuovo “lavoro” non gli piacerebbe. È morto quando io avevo tredici anni. Non ho molti ricordi legati all’in- fanzia trascorsa con lui, ma so che nella sua vita ha sempre lavorato con fatica e non ha mai fatto queste cose. Io non ho molta scelta, Mario mi spaventa, penso che sarebbe capace di uccidermi se rifiutassi di lavorare per lui.
[…]

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