ALL’INFERNO FA FREDDO
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Brani da racconto: Quei soggiorni alla cella 9
di Salvatore Torre

Quella notte fui svegliato da un rumore insolito; un rumore cadenzato, strisciante, che pareva venire da lontano per farsi, via via, più prossimo e sinistro.
(...)
“Fuori dalla cella!” mi urlò una guardia strattonandomi per un braccio sino al corridoio.
Brutti bastardi, pensai, mentre a testa bassa gli passavo in mezzo, e il “plac-plac” dei manganelli suonava anche a me.
Una cinquantina di corpi lamentosi e doloranti, perlopiù con il pigiama e le ciabatte o anche scalzi, si trovarono nel cortile. Non dicevano una parola, soltanto mormoravano “la squadretta, è arrivata la squadretta”.
(...)
Il comandante della squadretta si alzò e fece il giro della scrivania.
"E così hai detto pezzo di merda…" incominciò, fissandomi negli occhi.
Risposi di no: "Non ho detto questo ma vaffanculo" precisai.
"Ah.. hai detto vaffanculo " esclamò lui torcendo lievemente il collo di lato.
(...)
Fui chiuso nella cella 18 dirimpetto alla cella 9. Era un antro buio, senza vetri alle finestre, senz’acqua potabile, senza nulla eccetto un bagno alla turca pieno di escrementi.
(...)
L'Asinara ci accolse mostrandoci il volto scorbutico e severo dei burocrati dell'ufficio matricola, un poco scocciati per essere costretti a eseguire per ognuno di noi la procedura di schedazione: occhi, capelli, altezza, impronte digitali...
La chiave aprì le nostre celle pressappoco alle 7:30. "In piedi, forza!". Una delle cinque guardie entrate nella nostra di cella, strattonò per la maglia il più anziano dei miei cellanti e gli urlò in faccia "Ti spacco il culo se ti ripesco a letto!". Poi si voltò a guardare verso di noi. Io ebbi l'impulso di dire qualcosa, ma l'altro detenuto anziano, mi fermò lanciandomi un'occhiata ammonitrice.
(...)
Una mattina la morte si materializzò davanti ai miei occhi: uno dei miei compagni di cella “appeso” alla finestra. Lui sì, aveva legato una corda al collo della sua vita e adesso penzolava inerme davanti a me. Non mi guardava nemmeno, con quegli occhi tirati su, contro il soffitto. Né veniva un solo fiato da quella bocca sgorbiata dall’asfissia.
(…)

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