La voce non parla più, odio doverla zittire, ma è l’unico momento in cui riesco a restare un po' solo, senza quella stramaledetta che pensa di conoscermi. È più scontata di questo mondo che ritiene uguali le fauci di ogni mostro. Poveri scemi, credono che ogni mostro nasca nell’ombra, ma io sono nato al sole; e poiché non nascondo il mio odio nell'ombra vengo confinato qui, quando meriterei un premio per la sincerità, per aver trovato il coraggio di non tollerare l'intollerabile. Ho ucciso, pazienza. Tutto il mondo uccide, ma solo io finisco in questo buco.
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Non mi sento un uomo, ma un castello di lego; ogni giorno il mondo mi smonta, ed io ogni volta mi ricostruisco; però ogni volta lo faccio diversamente. Per esempio oggi ho dimenticato di costruire le torri a difesa del mio castello, e mi sento così vulnerabile, indifeso; in questo posto che attacca di continuo, ho paura persino delle cose più sciocche: sono come un pezzo di cristallo che reagisce solo una volta che si è infranto.
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Quel pazzo lì dentro mi ucciderà, e nessuno giungerà alle mie grida, ed è colpa mia se questo luogo si è abituato alle urla. E anche se la mia profonda bassezza mi spinge a tentare disperatamente di salvare la mia insensata vita, la coscienza mi spinge verso la fine. La gabbia si sta per aprire, sono pronto: questa è giustizia, questa è la mia giustizia.
Una volta accompagnato davanti ai due, il ragazzo, che sino ad allora era rimasto in auto, guardò verso la donna, che si sentì devastare dall’umiliazione. Senza far trasparire il proprio stato d’animo, volse lo sguardo all’uomo con la mazza.
“Restituisci l’onore alla tua famiglia” gli comandò, mettendogli tra le mani un revolver.
“No!” urlò la donna, mentre suo figlio puntava l’arma contro l’uomo riverso per terra e faceva fuoco.
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“Uh, ma lo sai chi è quello lì? Tuccio Mandragora, un gangster” le disse Gigino, avendo percepito la sua improvvisa tensione.
Annina scrollò le spalle: “Non sono fatti nostri”. Quindi lo tirò leggermente per il braccio, perché riprendessero a camminare.
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L’uomo gettò uno sguardo nella sala, incrociando per un istante quello di un sinore con una borsa di documenti in mano, che stava entrando nel bar: Michele lo Zinno l’osservò di sottecchi, mentre senza fretta infilava la mano dentro il giubbotto. Sentendo incombere il pericolo, Annina abbandonò la cassa e si avviò verso l’uscita. Una volta in strada, svoltò l’angolo e, senza guardarsi indietro, prese a camminare veloce; l’eco dei colpi dell’arma da fuoco la raggiunse qualche istante dopo.
Uomo fidato della procura, valoroso investigatore, impegnato in prima linea nella sfida con la Mafia è stato ucciso stamani nel centro della città; lodi e lodi post mortem dalle istituzioni che gli aveva però revocato la scorta; ma che vogliamo farci: sono cose che capitano, a Palermo –
Scavata sulla pancia di quell’enorme montagna, la gradinata si allungava vertiginosa, correndo incontro a una vetta ripida e lontana, molto lontana.
Iniziai a risalirla senza un perché. Sapevo che dovevo farlo, solo questo.
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Qui
Sepolti nell’indolenza dei
Senza tempo
Per chi privo di perdono è spirato
Tutti insieme
Il canto dei morti ammazzati
Danziamo
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L’anziana donna mi fece segno con la mano di seguirla, così senza discutere mi accodai a lei, anche perché nonostante mi sforzassi, non riuscivo a raggiungerla. A un certo punto le chiesi:
“Cosa va predicando?”.
“Chiamo il Signore” rispose lei.
“Perché?”
“Perché la mia voce arrivi a lui”.
“Ha tante cose da chiedergli?”
“Una soltanto. Chiedo clemenza” concluse.
Ho sognato di ucciderlo di nuovo.
Non ho mai desiderato così tanto di ammazzare una persona, per di più mio padre!
Giuro che non vorrei questo pensiero che mi tormenta.
Sono anni che ci convivo.
Non so nemmeno descrivere quanto io lo ami nel profondo del cuore ma c’è troppo odio che soffoca l’amore.
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Lui mi diceva che sarei diventata come mia madre, una criminale e una tossica, che non dovevo credere a nessuno eccetera eccetera. Andando avanti le sue parole divennero le mie azioni.
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Quanto vorrei amarlo, quanto desidererei cancellare tutto il dolore, poter riuscire a dire che è stato solo un bruttissimo incubo.
Ho provato in tanti modi.
Ma niente.
Ero incatenata al suo male. Stavo in una prigione.
Completamente sola.
È notte fonda. Mi sveglio di soprassalto come ormai succede da dieci anni, scendo piano dal terzo letto a castello per non svegliare Rocco e mio cugino Nino che russano sotto di me.
È inverno inoltrato, dalla finestra sgangherata filtra un vento gelido che mi trapana le ossa, prendo una Marlboro rossa da sopra il tavolo fissato al muro e per non fare rumore vado in bagno, spalanco la finestra e inizio a fumare. L’aria fredda sul viso è tagliente, ma allo stesso tempo piacevole, in lontananza si sentono i rintocchi di una campana; mi lascio trasportare da quel suono.
La luna piena vista a quadratini stanotte è bellissima, penso tra me e me. Chissà che fine ha fatto quella casetta in montagna, malconcia e senza finestre?
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Una miriade di pensieri mi affollano la mente, “mio fratello ucciso dal padre della mia fidanzatina”, quelle parole mi trafiggono il petto come la lama di un coltello; “l’amore mio non può essere responsabile, non ci credo… l’otto dicembre compio quindici anni, mancano solo due giorni, la nostra fuga… la Francia…”. Mi tappo le orecchie con le mani come se fosse possibile non udire quella vocina maledetta nella testa.
“Ammazzala, ammazzala ti ha tradito.”
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“Nipote vieni qua” mi chiama zio Bastiano.
Tutti osservano i miei movimenti. I loro occhi addosso mi innervosiscono, ma allo stesso tempo mi danno la forza per fare quello che devo fare.
“Si prontu?” dice mio zio passandomi il pugnale.
“Sì” rispondo senza esitazione nella voce ma con il cuore che tenta di uscirmi dal petto.