SIAMO NOI, SIAMO IN TANTI
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Borderline
di Francesco Fusano

Il disturbo della personalità borderline è caratterizzato da una forma pervasiva di instabilità dell’immagine di sé, delle relazioni interpersonali e dei rumori. Una consistente e marcata turba dell’identità è pressoché continua, spesso pervasiva ……………………..
Nevrosi depressiva, depressione maggiore e psicosi reattiva breve figurano tra le complicanze di questo disturbo………………………………
Ho atteso circa 23 mesi per questa diagnosi e ora cosa me ne faccio?
……………………………….. conservo gelosamente il ricordo di Francesco tra i 21 e i 27 anni, un ragazzo non troppo alto, 1,68 m per 73 kg; nessun accenno di pancetta o maniglie, occhi grigi, fotocromatici, che spaziano nell’iridescenza tra il verde più intenso dello smeraldo e il blu profondo dello zaffiro. Lisci, lunghi capelli biondi ad avvolgermi il viso, che se non educati diventano ricci ribelli, fili d’oro; ne andavo fiero come un leone della sua criniera.
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In camera espongo orgoglioso le foto di un “fu Francesco”. ……………………………….Io, alieno e alienato, non ho progetti, tranne uno, procurarmi soldi e droga: io eroe della mia eroina e così assetato di coca.
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La macchina della giustizia è lenta, la clessidra è ostruita e il tempo si dilata come le mie pupille. Mi stringo al muro, questo giaciglio improvvisato in una cella di sicurezza, panchina di cemento, una coperta e il mio mal di vivere che mi sussurra all'orecchio: “Ucciditi! Ucciditi!”.
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II medico di guardia mi rifila 2 Tavor sottobanco, preferisce che sia il dottore del Sert a sbrigare la mia pratica, sono troppo impegnativo! …………………………
Il dottore del Sert è un uomo sulla quarantina, un metro e 80-85 per 90 kg, lo sto pesando mentre dentro di me l’astinenza si fa sempre più prepotente. Cerco di scorgere fra le sue parole una formula d’assoluzione, ma ricevo solo ammonizioni per le torture cui sottopongo il mio corpo.
Trattiamo. II tossico che è in me ha la meglio. Sono addestrato. Concordiamo di cominciare con 40 mg di metadone. Nelle 72 ore successive arriverò a estorcergli 80 mg. Tuttavia, nulla di ciò che dirò insinuerà in lui il sospetto che l’unico obiettivo è: “non esserci”. ……………………………………………………
Il vice capoposto soprannominato “faccia di merda”, come lo sbirro del film C’era una volta in America, con poche parole e a denti stretti, mi comunica che si è liberato un posto. Tutti italiani. Il posto in questione è quello al suolo, nessuna branda solo un materasso.
Non batto ciglio, il “sostitutivo” controlla l’equalizzatore audio e le funzioni video del mio corpo…………………………………………
Preparo le mie cose, abiti che da anni mi accompagnano nelle galere, fieri di aver conosciuto i confini di Rebibbia, poveri ma dignitosi. Solo io ho smarrito dignità e orgoglio.
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Destinazione 3° sezione: tossic-park! Cella: 314. Abitanti: due catanesi ultracinquantenni che mi squadrano dalla testa ai piedi.
Nell’arco delle successive dodici ore hanno provato, senza risultato alcuno, a impressionarmi. In 12 minuti li ho resi ipocondriaci, non gli importa che abbia bicchiere e posate segnate, per loro sono un appestato, un lebbroso: ho l’epatite C. …………………………………………………
Mi sono concesso un’unica uscita ai passeggi, non mi vanno queste facce gialle. Forse voglio solo nascondere la mia. Sono l’incarnazione dell’atroce sofferenza che mi autoinfliggo, peso 53 kg, se mi cogliesse di sorpresa una folata di vento, mi trascinerebbe come una foglia secca. E poi, devo stare attento a Loro, non vogliono che io esca dalla cella. Lì fuori ci sono demoni, tenebrosi mostri che altro non aspettano: uccidermi. …………………………………………………
Dal 3° reparto al 2°, sì, certo! Viene naturale pensare che siano vicini, si succedono numericamente, ma qui non esiste logica, nessuna scienza. Ci separano. Restiamo in due. Carichi come muli, percorriamo metri, 600 circa, scale, corridoi, e ancora scale. L’ascensore, no! È solo per gli agenti.
Arriviamo a destinazione. Per me la suite n° 4, per l’altro la 24.
All’ingresso nella cella mi percuote un odore pungente, olio bruciato, puzzo di fritto stagnante. Il disordine regna sovrano, ma sono addestrato.
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Mi sono stabilito, ho piantato i picchetti, non mi muovo. Non esco mai dalla cella, se non per la doccia e il metadone. È la mia protesta, grido al mondo il mio non esistere, eppure respiro, mangio, cago. Sono morto dentro e con ostinazione, quella stessa morte interiore cerco di trasferirla anche al corpo, ma a chi posso raccontarlo? Chi mi capirebbe?
Piango e mi dimeno nel sonno. Grido al risveglio. Resto immobile, non respiro. Ci vogliono dai 20 ai 35 minuti per convincermi che i lamenti e le voci, le mani sporche di fango che vogliono tirarmi a loro, sono solo frutto dell’immaginazione.
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La mia attenzione è richiamata da un individuo che indossa uno strano costume. Conosce il mio cognome, il mio nome, il mio segno zodiacale, mi ha persino beccato segarmi nel cesso. Io, di lui, non so niente! Questo è il carcere: ti spoglia, ti priva dei tuoi più intimi pudori, ti rende un insieme di lettere e numeri, e a ricordare che anche tu “sei esistito”, una foto su un cartoncino resta l’unica testimonianza.
Scandisce il mio cognome, mi guarda ammonendo la mia mole. Ho sostituito l’abuso di droghe con eccessi d’alimenti. Devasto il fegato con una media di trenta uova ogni cinque giorni, chiaramente le assumo a orari precisi, solo di notte, tra e due e le tre.………………..
Ad attendermi nell’ufficio, una donna. …………………………………………… Capelli lunghi. Seppur seduta, intuisco che le arrivano sino alle anche. Neri, di un nero che ricorda la notte. …………………………………………………………
“Sono venuta per guardare in faccia chi è tanto coraggioso e incosciente da autodenunciarsi”. ……………………………………………………………………………..
Suppongo sia una professionista, preparata a menti confuse, sconvolte, ai folli!
………………………………………………………… Io, la nota errata, tutte le settimane siedo di fronte al desiderio d’ogni ragazzo e uomo che sospiri tra queste mura, la dottoressa Taccolgo.
Luis, il mio compagno di cella, mi prende in giro, quando nell’attesa mi cambio d’abito in continuazione. Ricerco accostamenti di tonalità che facciano risaltare quel poco di grazioso che di me resta. È per Lei che lo faccio. ………………………………
Le settimane scorrono, ora mi sento fortunato.
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