SIAMO NOI, SIAMO IN TANTI
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Povera gente, il dopo
di Marco Conti

…………………………………………………. Mi sveglio tra mezzogiorno e le due, dipende dall’ora in cui sono rincasato; buon caffè americano, preso in giardino, se sono in campagna a casa dei miei genitori, a Riccione, e non mi trovo invece in giro per il mondo.
È estate, in riviera c’è sempre molto da fare.
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Telecomando, bottone, cancello che si spalanca e la vita che mi aspetta, che mi sorride!
Arrivato in spiaggia, dopo un buon spinello leggero, mi accingo a ordinare il pranzo, quest’oggi insalata, spiedini e acqua naturale.
S’incontrano gli amici, magari reduci anche loro dalla nottata. Lamentano il mal di testa per le sbornie o altro consumato durante la notte.
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L’aperitivo a base di champagne è all’ordine del giorno, com’è all’ordine della sera e della notte e, al bisogno, anche della mattina se la baldoria continua. Non bevo altro, non posso bere altro, visto che i superalcolici sono difficili da smaltire e ingrassano.
Ci si accorda su dove cenare. Torno a casa a cambiarmi nuovamente e il buio mi riporta davanti alle sei ante dell’armadio per scegliere l’abito e gli accessori che mi daranno un’aria glamour, in aiuto alla conquista della preda quotidiana.

Intanto, mentre scrivo, gli insetti la fanno da padroni in galera, insieme a un linguaggio primordiale urlato da cella a cella.
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Luca, l’occupante al piano di sotto, dorme e quindi il “bagno” è libero per evacuare. Mi alzo dal cesso e in due metri sono al pensile dove sono appoggiati i fornelli da camping. Preparo il caffè, accendo e aspetto. ……………………………………………………………
Giorno di jogging, quindi mi vesto con dei cenci che uso per questo, scarpette appropriate e pronti davanti al blindo.
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Via! Hanno aperto, mi torna in mente quando alle gare dei cani aprono le gabbie. Scendiamo. Un fiume di carne disordinato, urlante, maleodorante, scorre verso i passeggi, un cortile con i muri tanto alti da farci mancare l’aria (la chiamano aria).
La sporcizia che noi detenuti gettiamo dalle finestre (non io, ma quando sei qui non puoi indicarti diverso) lascia il segno e la vista non è certo piacevole; per non parlare degli odori e tutto il resto.
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Scaduto il tempo, l’orda umana risale, sezione per sezione rientra ai piani, nell’alveare, dove ti aprono e chiudono il cancello. Posso spogliarmi e quando sarà il mio turno, andare in doccia, dove l’igiene non regna di certo. Proprio ieri un detenuto si faceva tranquillo la sua bella pisciata, senza sapere che lo scarico era leggermente intasato, quindi i piedi erano praticamente a bagno nell’aranciata san pellegrino. …………………………………………
Sdentati, storpi, tossici all’ultimo stadio sono all’ordine del giorno, stranieri e italiani, ma talvolta l’italiano non si sente e non si vede, tanto da farmi pensare di essere all’estero, invece sono a Pesaro.
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Personalmente non sono così coraggioso da ridiscendere nel cortile il pomeriggio, preferisco calarmi nei libri che veramente mi stanno salvando l’esistenza. Altrimenti mi troverei a dialogare con dei perfetti psicopatici. Uno, ad esempio, vede le astronavi che vigilano sopra il carcere e dice che gli extraterrestri sono un popolo.
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Vi sono anche anime che non accettano la condanna e che spesso tendono a farla finita nelle modalità classiche. Alcuni riescono, altri no, magari salvati in extremis da qualche attento agente. Altri usano il proprio corpo per attirare l’attenzione con atti di autolesionismo, con tagli che lasciano segni molto evidenti. Il sangue, goccia per goccia, quasi con orgoglio, segna il percorso fino all’infermeria.
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