SIAMO NOI, SIAMO IN TANTI
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera

In rosso sono segnalati i vincitori del premio letterario goliarda sapienza “racconti dal carcere”
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Tutta colpa di...
di Gianluca Migliaccio

Il mio nome è Gianluca.
Sono nato in un piccolo comune nei pressi di Napoli.
Avevo solo tre anni quando, assieme all’ultimo dei miei sette fratelli, fui rinchiuso in collegio da parte dei Servizi Sociali.
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I miei genitori venivano convocati, ma nonostante le insistenze delle suore, spesso non si presentavano. Era l’unica maniera per incontrare mio padre. Le poche volte che veniva, lo vedevo molto infastidito e me lo faceva pesare.
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Avevo circa dodici anni quando mia madre venne a riprendermi, perché il comune non poteva più pagare la mia retta. A casa non venivo considerato. Per mia madre non esistevo, come se non fossi suo figlio.
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A tredici anni iniziai a dormire prima nella macchina di mia madre, poi in una che rubai, infine in uno scantinato buio.
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Le strade di Napoli erano diventate il mio mondo.
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Ho iniziato a delinquere con il contrabbando delle sigarette. Poi vennero i primi furti, per poter mangiare. Infine iniziai anche a far uso di droghe e di alcol.
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Avevo circa quindici anni quando mi capitò una cosa terribile. Tramite un mio coetaneo conobbi un uomo di 45 anni.
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Cominciai a frequentare casa sua con una certa assiduità, anche perché non avevo alternative. Era inverno e fuori faceva freddo, stare da lui voleva anche dire starsene al caldo. E poi sembrava davvero affettuoso e premuroso nei miei confronti. Mi affezionai.
“On Antonio” di professione faceva il mago. Forse lo era davvero...
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Un giorno mi chiese di restare a dormire a casa sua. Accettai subito. Sempre meglio che dormire in uno scantinato. Dopo cena mi chiese di seguirlo nel suo studio perché mi avrebbe dovuto “assegnare” uno spirito guida.
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Dovrai fare tutto ciò che lui ti dirà senza esitare e soprattutto senza dire niente a nessuno di ciò che avverrà, altrimenti sarai perseguitato dal diavolo”.
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Rimasi immobile. Subii un abuso sessuale. E così più volte, in seguito. Non sapevo come uscirne. Dovevo assolutamente scappare da quella casa, ma non era facile. Non ero sotto sequestro, ma a ogni movimento lui mi seguiva e mi teneva sotto controllo. Un pomeriggio, mentre l’orco dormiva, colsi l’occasione.
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Tentai anche il suicidio. Avevo spesso la mente offuscata. Avevo ricominciato a bere e a fare un uso esagerato di droga. Per procurarmela compivo numerosi reati. Avevo paura e non relazionavo più con nessuno. Vivevo in disparte. Come un eremita....................
Qui in carcere, con due agenti in particolare ho stabilito un rapporto basato sul rispetto reciproco. ……………
Potrei già usufruire di misure alternative alla detenzione, come quella domiciliare. Ma non sopporterei di stare chiuso in casa senza fare nulla. Non sopporterei di essere di peso alla mia compagna. Preferisco restare ancora in carcere e lavorare in cucina. Preferisco avere accanto i miei “angeli custodi”.

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